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Il virus ci ha chiuso in casa, ci ha costretto da un "fuori" convulso a rientrare nell'intimità, in interiore homine, riaprendo dentro noi stessi interrogativi e orizzonti rimossi. Ci ha sbattuto in faccia il "nesso carnale" che ci apparenta con l'intorno e che si distende necessariamente sull'altro e sugli altri. Come ci ha rivelato che senza gli altri nessuno si salva, che la Terra è la nostra dimora e non un deposito degli attrezzi o un bancomat per accumulare capitali. Dimora e condizione unica della nostra vita transeunte, la sua malattia ci ammala, il suo impoverimento ci impoverisce, la sua distruzione ci distrugge. In fondo essa non ha di noi lo stesso bisogno che noi abbiamo di lei. Continuerà ad esistere anche senza di noi e dopo di noi, e forse dopo millenni darà ancora vita ad altri esseri, si spera più assennati della nostra umanità confusa... Siamo noi che dipendiamo da lei e che abbiamo approntato quanto la rende inabitabile, apprestando ai viventi una estinzione forzata, lenta e inevitabile. Sarebbe follia uscire da questa triste esperienza senza rispondere al grido ormai lacerante dell'unica nostra "casa comune" in rovina.